In questa nuova era, segnata dalla pandemia e da tutte le implicazioni che ne derivano, i dati indicano un aumento dei tentativi di suicidio ed autolesionismo con un aumento parallelo degli accessi al pronto soccorso e successivi ricoveri da parte dei giovani. Il tentato suicidio è di per sé un fenomeno tragico e sconvolgente, ma quando si tratta di adolescenti la sua drammaticità si acuisce e il senso di sgomento e di vuoto ci pervade ad ogni livello.

Poniamo alcune domande al Dottor Matteo Trevisan, Psicologo e Psicoterapeuta, su ciò che sta accadendo.

Tutta colpa della pandemia?

Parlare di colpe può essere rischioso e fuorviante. L’idea che le persone agiscano con una sorta di passività rispetto al contesto che abitano, alle relazioni che hanno ecc.. è ampiamente superata. La pandemia ha sicuramente “complicato” tutti quei processi psicologici, propri del periodo adolescenziale che concorrono a costruire quella che viene definita identità.

L’adolescenza è l’età del passaggio alla vita adulta e nella nostra società dura parecchi anni. In questo periodo i ragazzi sperimentano una sorta di sospensione, non sanno bene chi sono, non hanno appigli chiari e ben definiti a cui aggrapparsi per continuare a costruirsi. Già prima della pandemia la “fluidità” che ci pervade aveva reso più complesso tale passaggio, con la pandemia si sono aggiunte incertezze, limitazioni sociali e relazionali che hanno sicuramente aumentato il disagio dato che il bisogno di appartenenza e confronto con il gruppo dei pari, è un altro bisogno proprio del periodo adolescenziale.

Cosa comporta tutto questo?

Quello che bisogna considerare al netto di quanto espresso sopra è che le persone non sono passive anche rispetto a questi sconvolgimenti. Gli individui agiscono sulla base dei significati che attribuiscono agli eventi, sono dotati di intenzionalità, consapevolezza, ragioni.

Le ricerche indicano che il numero dei tentati suicidi negli adolescenti sono superiori al numero di suicidi veri e propri, diversamente da quanto avviene nelle altre fasce di età, sostenendo quindi la tesi delle condotte autolesive come una forma, estrema, di comunicazione a disposizione dell’adolescente, espressione della ricerca a tentoni di una via d’uscita dalla percezione di un presente che non finisce mai.

Perché si reagisce con l’autolesionismo?

Non esiste una sola risposta. L’adozione di comportamenti a rischio possono avere molteplici significati. A volte sono rituali di ingresso in qualche gruppo, altre volte sono un modo per sentirsi appartenenti a qualche cerchia, altre volte ancora sono un modo per fare visualizzazioni su youtube e diventare famoso quindi, alla fine, solo il giovane può rendere conto del reale significato.

Nei casi più gravi, in linea generale, possiamo pensare alle condotte a rischio (tra cui l’autolesionismo) come a delle “urla” capaci di richiamare attorno a sè un aiuto non solo famigliare ma collettivo.

Riti intimi, di contrabbando che mirano a costruire del senso per poter continuare a vivere, frangenti in cui i ragazzi sentono di esistere perché il dolore corporeo diviene un segno evidente che si sta vivendo; atti di passaggio in cui giovani sono consapevoli dei loro comportamenti, e sono consapevoli delle conseguenze a livello relazionale; si sperimentano come attori del loro gesto.

Sono condotte che possiedono l’ambivalenza del “pharmacon” che è al tempo stesso medicina e veleno: leniscono momentaneamente il dolore ma non sono meno pericolose.

Cosa si può fare?

Innanzitutto occorrere rimettere al centro i giovani che sembrano essere stati dimenticati o dati per scontati. Dobbiamo riavvicinarci a loro, ascoltarli e permettere loro di dire come stanno; supportarli e dotarli di strumenti per affrontare questo momento storico. Dobbiamo “prenderli sul serio”, parlare con loro riconoscendo dignità ai loro vissuti, ritornando ad essere adulti di riferimento.

Lo psicologo può ricoprire un ruolo fondamentale nell’ascolto e nel cercare di ridare serenità e autoconsapevolezza, offrire loro spazi in cui potersi raccontare e parlare delle loro sofferenze per aiutarli a vedere oltre quel muro che si sono creati.

Il Dottor Matteo Trevisan visita presso il centro Psichè, Poliambulatori San Gaetano, in Via San Vincenzo 59 a Thiene. Prenota una visita allo 0445 382422 o compilando il form di contatto.