Che cos’è il sintomo? Il sintomo è per definizione la manifestazione di uno stato patologico, così come la stessa è avvertita soggettivamente dal malato. Esso si distingue dunque dal segno che, viceversa, non è un qualche cosa di riferito dal paziente, ma è rilevabile dal medico all’esame obiettivo.
Approfondiamo il discorso dei sintomi che riguardano in particolare ansia e stati di agitazione con il Dottor Alessandro Cortiana, Psicologo- Psicoterapeuta e Psicoanalista.
In ambito psicologico che sintomi hanno i pazienti?
In ambito psicologico i sintomi riferiti dai pazienti coprono un ampio spettro di possibilità: tra questi, e l’elenco non può che essere parziale, troviamo:
- Agitazione “ingiustificata” e alterazione del ritmo sonno-veglia, accessi d’ansia, attacchi di panico.
- Blocchi funzionali (es. non si riesce ad affrontare la scuola, il lavoro, i luoghi pubblici, etc.).
- Compulsioni (es. non riusciamo ad impedirci di compiere una determinata azione o ad assumere un certo comportamento).
- Difficoltà relazionali sul luogo di lavoro, con il partner, con un figlio, depressione o più in generale la difficoltà a capire che cosa si vuole veramente e quale debba essere il nostro ruolo/compito nella vita.
Ma che cosa si nasconde dietro al sintomo?
Rispondere a questa domanda non è semplice, ed è proprio per questo che una vecchia metafora utilizzata in ambito clinico equipara il sintomo al fumo. Quando vediamo del fumo, infatti, noi sappiamo che qualcosa sta bruciando, ma non sappiamo cosa abbia preso fuoco. Per capire cos’è che brucia si rende necessario un esame più approfondito che, nel nostro caso, prende il nome di indagine o approfondimento diagnostico.
Ogni sintomo, infatti, è la risultante di un lungo e complesso percorso mentale e relazionale compiuto dal soggetto, ed è per questo che il più delle volte lo avvertiamo come estraneo ed enigmatico. Il paziente, nel 90% dei casi dirà: “Dottore ho emozioni che non riesco a controllare, ma non ho la più pallida idea del perché”.
Come lo si può spiegare?
Il sintomo altro non è che una risposta un po’ rozza (e generalmente parziale) ad una domanda assolutamente legittima che tutti noi nel nostro intimo ci poniamo: la pratica clinica dimostra come il processo di approfondimento diagnostico che ha luogo nel corso dei colloqui con l’analista, via via permette al paziente di comprendere le cause che sottendono il disagio psichico sofferto, e più aumenta questa conoscenza più il sintomo tende a ridurre la sua portata. Riscoprire la domanda e trovare una risposta che sia completa e soddisfacente è il fine ultimo del percorso terapeutico.
Qual è il ruolo del terapeuta?
E’ importante evidenziare due aspetti: il primo è che il terapeuta non fornisce la cura ma, per così dire, “aiuta la persona a indentificare gli ingredienti e a prepararsi la ricetta”; il secondo è che, proprio per questo, il vero protagonista del percorso è la stessa persona che accetta il compito non semplice di indagare i propri vissuti ed emozioni, le proprie relazioni e la propria storia personale.
Si tratta di guardare in faccia e dare un nome alle paure e alle angosce più profonde, e l’analista è lì per dimostrare alla persona che quel coraggio le appartiene e che non c’è angoscia o paura che non possa essere affrontata e rielaborata.
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