“Nessuno può farti più male di quello che fai tu a te stesso.”  (M.Gandi)

L’autolesionismo deriva dal greco “auto” “se stesso” e “ledere”di origine latina che significa “danneggiare”.
Si tratta dunque di un disturbo che crea dipendenza in cui il soggetto si procura delle ferite e lesioni al fine di danneggiarsi: il soggetto può procurarsi ad esempio tagli (cutting), bruciature (burning), lividi, escoriazioni.
L’obiettivo non è uccidersi, ma trovare sollievo da una sofferenza emotiva, come se il corpo fosse un foglio su cui disegnare la propria sofferenza.
Risponde ad alcune domande la Dott.ssa Sartori Lisa, Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Familiare.

 

La fase adolescenziale di vita è un fase molto critica che mette a dura prova le idee, le emozioni e i pensieri del giovane adolescente e che lo rende fragile di fronte ai cambiamenti che lo circondano. Infatti coloro che sembrano soffrirne maggiormente sono pre-adolescenti e adolescenti ( 12-18 anni) motivo per il quale è importante, in tale difficoltà, la presa in carico familiare.

Tra i gesti più comuni con cui gli autolesionisti si producono lesioni, rientrano:

  • I tagli e le bruciature della pelle;
  • Le perforazioni tramite punteruoli o strumenti appuntiti simili;
  • Colpi alla testa o al resto del corpo;
  • L’assunzione di prodotto chimici tossici o l’ingestione di grandi quantità (overdose) di farmaci (alcol e sostanze).

 

Quali sono le possibili cause?

È difficile riscontrare delle cause specifiche e si preferisce parlare di co-fattori che possono fare insorgere il disturbo. In particolare si parla di storie che presentano tali aspetti:

  • Difficoltà a gestire le emozioni: in particolare la rabbia, verso sé e verso anche gli altri, spesso legata ad una situazione familiare difficile da gestire e da verbalizzare la quale può sfociare in senso di colpa e sensazione di fallimento, così come la presenza di aspetti traumatici fisici ed emotivi ( scuola, bullismo…), abuso di alcol o sostanze psicotrope;
  • Traumi: situazioni di trascuratezza e di maltrattamento psicologico o fisico possono esserne alle base;
  • Insicurezza e scarsa autostima: l’adolescente sente di essere invisibile e di non valere nulla e spesso, il dolore, diventa il modo per sentirsi “vivi”;
  • Difficoltà familiari o separazioni: l’adolescente assorbe il clima familiare e spesso coloro che soffrono di autolesionismo hanno con sé storie di conflitti e di separazioni nei quali il figlio diventa una pedina all’interno della vita familiare.

Le persone sofferenti di autolesionismo temono che le altre persone possono scoprire i loro problemi: questo è il motivo per cui tendono a isolarsi, ad assumere un atteggiamento particolarmente riservato, a coprire le ferite sul proprio corpo in maniera talvolta sospetta e a non chiedere aiuto a chi di dovere, faticando anche ad accedere ad una dimensione di
psicoterapia se non spinti dai genitori. Ecco che la preoccupazione genitoriale e familiare diventa la spinta per la richiesta di aiuto e spesso l’intervento efficace è quello familiare.

 

Quale possibile intervento?

Considerando l’autolesionismo come un “ sintomo” che comunica “qualcosa” in primis al sistema familiare di appartenenza, spesso l’intervento familiare consente di intervenire in maniera efficace e in poco tempo per ridurre e, potenzialmente eliminare, tale comportamento proprio perché in sede di psicoterapia ad esso viene attribuito un significato che non è di malattia ma di “comunicazione”.

Soprattutto in questa tipologia di psicoterapia la persona che porta il disagio viene valorizzata e ne viene compreso il ruolo familiare. Ad esempio accade che difficoltà familiari e conflittuali spesso siano alla base di una storia di autolesionismo, oppure che alcune emozioni siano quasi “vietate” a livello familiare e l’unica espressione è quella corporea; ecco che la famiglia diventa una risorsa e anche il luogo dal quale parte il cambiamento.

Al lavoro familiare è possibile ritagliare momenti di incontri individuale con l’adolescente o il giovane adulto al fine di accedere ad un mondo emozionale e intimo, mentre i colloqui genitoriale possono essere visti in ottica preventiva di ricadute, andando a lavorare sugli aspetti di protezione educativa ed affettiva genitoriale, compresa la dinamica di coppia.

 

Quindi, le aree di intervento sono:

Familiare Individuale Coppia genitoriale

Ovviamente tale modalità è quella maggiormente utilizzata ma poi si adatta alle singole esigenze e alle differenti storie. L’importante è che non si entri in una logica di colpa o di malattia che non è positiva per la persona affetta da tale comportamento ma neanche per chi lo circonda.

 

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