Gran parte delle procedure effettuate in uno studio odontoiatrico possono essere tranquillamente gestite attraverso l’anestesia locale, tuttavia, in determinate condizioni è possibile associare altri farmaci per ottenere ansiolisi in pazienti particolarmente agitati. Il livello di sedazione va ponderato in base alle caratteristiche del paziente, alle esigenze dell’operatore e alla sicurezza della procedura.
Cos’è la sedazione?
È possibile definire la sedazione come un livello intermedio di depressione della coscienza, reversibile e controllata, che non interferisce con la respirazione autonoma.
La American Society of Anesthesiology (ASA) definisce tre livelli di sedazione:
- Sedazione minima (o lieve): il soggetto ha un buon controllo dell’ansia, è perfettamente responsivo agli stimoli e collaborante. L’attività respiratoria, circolatoria e i riflessi di protezione delle vie aeree sono invariati.
- Sedazione moderata (cosciente): il soggetto ha uno stato di coscienza attenuato, con una riduzione della vigilanza, ma è ancora in grado di rispondere agli stimoli tattili o verbali. La respirazione spontanea è preservata, così come i riflessi di protezione delle vie aeree.
- Sedazione profonda: il soggetto non è più vigile, risponde solo a stimoli ripetuti o dolorosi. Può richiedere un certo grado di assistenza per mantenere un’adeguata ventilazione e apertura delle vie aeree. La funzione cardiovascolare è generalmente stabile.
Come si ottiene la sedazione
La sedazione lieve solitamente si ottiene somministrando attraverso una maschera facciale protossido d’azoto e ossigeno; non richiede particolari precauzioni e può essere eseguita dal dentista stesso in ambito ambulatoriale.
Nella sedazione cosciente normalmente si impiegano dosi titolate di un solo farmaco, tipicamente una benzodiazepina, che viene somministrato per bocca. In alcune occasioni è possibile ricorrere a iniezioni ripetute o a infusione endovenosa continua, ma solo da parte di anestesisti o sedazionisti esperti che operino in un ambiente protetto. Se il paziente non è in grado di mantenere aperta la bocca in modo spontaneo viene considerata come una sedazione profonda.
In caso di sedazione profonda, l’ambiente operatorio deve essere protetto ed è necessaria la presenza di un anestesista. Egli rimane presente durante l’intera seduta, sorvegliando attentamente lo stato di coscienza del paziente e i principali segni vitali (ECG, pressione arteriosa, ossigenazione e ventilazione).
In generale, una sedazione è tanto più profonda quanto maggiori sono le dosi somministrate, ma a parità di dose, l’effetto è estremamente variabile da soggetto a soggetto, in base all’età, al peso, alle patologie associate e ai farmaci utilizzati. Questo è uno dei principali inconvenienti della metodica della sedazione cosciente per via endovenosa. Per questo è necessaria un’attenta somministrazione e un continuo monitoraggio dei parametri emodinamici e respiratori, con la possibilità di intervenire con l’assistenza respiratoria qualora fosse necessario.
L’intervento odontoiatrico inoltre è peculiare rispetto alle altre branche della medicina, perché si occupa del cavo orale e quindi impedisce una pronta assistenza dell’attività respiratoria da parte dell’anestesista. Questo naturalmente impone una calibrazione ancora più attenta del livello di sedazione e una scelta oculata dei farmaci e del loro dosaggio.
Quando si utilizza la sedazione
La sedazione cosciente viene valutata nel caso in cui il paziente sia odontofobico, cioè sviluppa ansia nei confronti dell’intervento che può manifestare con attacchi di panico, tachicardia e un significativo abbassamento della soglia del dolore.
La sedazione profonda è utile nel caso di pazienti cardiopatici e ipertesi, per prevenire eccessive alterazioni dei parametri emodinamici e nei pazienti epilettici o con disabilità per evitare movimenti improvvisi che possano interferire con le operazioni dello specialista.
La miscela di protossido di azoto e ossigeno è controindicata in caso di patologie respiratorie, in particolare in soggetti con sinusite, raffreddore, bronchite o con difficoltà a respirare con il naso. È sconsigliata nei primi tre mesi di gravidanza, in caso di recente intervento al timpano e in pazienti oftalmici.